Turismo Australia - kakadu
11 MAGGIO 2007
Kakadu
Il mattino non riesce a donare un minimo di fresco ad un aria caparbiamente afosa, alle ore 06.30 lasciamo l’ Hotel abbracciati alla tipica umidità tropicale, l’aria condizionata del nostro veicolo pur concedendo un piacevole refrigerio rischia di risultare un cambio di temperatura troppo repentino per essere sopportato con troppa frequenza. L’ingresso del parco di KAKADU, dove trascorreremo la giornata odierna, è situato a circa 180 chilometri di distanza da Darwin ma la sua grande estensione fa si che la nostra meta principale disti più di 300 chilometri, distanze rilevanti per la nostra mentalità europea assumono invece valori diversi sui lunghi e deserti rettilinei australiani. La prima sosta, immancabile, è prevista al museo culturale aborigeno che descrive usi e costumi delle popolazioni indigene del continente, senza togliere nulla al valore di una cultura che risulta essere l’unica disponibile, dobbiamo rilevare come, per noi che ne abbiamo già visitati, la cosa cominci a diventare noiosa, soprattutto ipotizzando che le soste siano più a carattere commerciale che culturale vista la presenza di fornitissimi shop, inoltre la filosofia del viaggio doveva essere essenzialmente naturalistica e non antropologica. |
Varcato l’ingresso del parco ci prepariamo alla prima sosta in una zona umida denominata “Yellow Waters”, Il periodo autunnale è probabilmente la stagione migliore per visitare queste zone, la stagione delle piogge (estate) da poco terminata e la stagione secca (inverno) ancora in fase di consolidamento permettono di vistare la palude nel pieno splendore, prima che il caldo torrido faccia evaporare tutto il prezioso liquido costringendo le creature presenti ad una dura lotta per la sopravvivenza.
E’ suggestivo ma anche drammatico pensare a come, questo verde paradiso, si presenterà tra qualche mese, trasformato in una infernale fornace, e a come la natura abbia provveduto per dare ai suoi figli una minima speranza di sopravvivenza, speranza che non è rivolta al singolo, sacrificabile, individuo ma bensì alla molto più importante specie.
Un cinico ma dannatamente efficiente sistema disturbato soltanto dal distruttivo e stupido intervento umano.
Vistiamo la palude a bordo di motoscafi dal fondale piatto abili a districarsi su bassi fondali guidati dalle descrizioni della nostra abile guida che , abilmente, ci consente l’osservazione di numerose specie animali e vegetali presenti nell’habitat compresi un paio di coccodrilli dall’aria poco raccomandabile per niente infastiditi dalla nostra presenza.
Il loro attento sguardo è ben lungi dall’essere tranquillizzante, è impressionante pensare alla feroce efficienza di questi animali che, nonostante la loro mole, risultano essere veloci e letali in ogni situazione.
Sono molteplici gli attacchi, spesso mortali, registrati contro gli esseri umani, nonostante gli avvertimenti riportati in maniera evidente praticamente ovunque a volte si tende a sottovalutare il pericolo.
L’escursione ci permette l’osservazione di numerose specie di uccelli che stanno preparandosi ad affrontare la stagione in arrivo insieme a una nuova generazione che in qualche caso e’ ancora in fase di “schiusura”
come questa Jacana che passeggia con i piccoli appena nati mentre la compagna veglia sulle uova ancora chiuse.
Anche il panorama circostante e decisamente emozionante, i colori del cielo si specchiano sulle tranquille acque insieme alle bianche nuvole che corrono veloci nel cielo, verdi masse vegetali interrompono piacevolmente questo tripudio di azzurro, reso tridimensionale dalla presenza di alberi solitari o intricate foreste dentro le quali si nasconde un patrimonio naturale di inestimabile valore.
Terminata con soddisfazione questa interessante escursione ci concediamo una pausa pranzo con un buffet, compreso nel costo del viaggio, che risulta discreto ed apprezzabile nel suo complesso.
Nuova partenza sempre avviluppati da un caldo opprimente e sosta successiva a Nourlangie Rock, qui in una sosta di 45 minuti osserviamo una serie di pitture rupestri aborigene.
A prescindere dal loro valore artistico e culturale è difficile per noi restare impressionati da opere realizzate in un periodo compreso tra i 1000 ed i 150 anni fa, periodo nel quale la nostra civiltà era già affermata e nel quale sono comprese epoche artisticamente incredibili come il rinascimento, pensando a siti come le grotte di Altamira in Spagna dove le pitture sono riconducibili ad un periodo che varia tra i 15/20.000 anni fa.
La sensazione suscitata in questi frangenti è di una frenetica ricerca di un background culturale altrimenti inesistente in questo continente nel quale la civiltà come la conosciamo noi non è cresciuta evolvendosi ma è arrivata già matura poco più di 200 anni or sono.
Non è semplice la comprensione del rapporto che lega i colonizzatori occidentali, adesso australiani, al popolo aborigeno vero proprietario delle terre dei canguri, è certamente visibile uno sfruttamento turistico della loro cultura e delle loro risorse artistiche come parallelamente si osserva una scarsa per non dire assente integrazione da parte degli indigeni con la nostra civiltà, alla quale vivono ai margini spesso vagabondi ed ubriachi per le strade delle grandi città, o malconci tentare di vendere le loro opere ai turisti nelle stazioni di servizio nell’outback, incapaci di comprendere la necessità di lavorare per vivere ma comunque attratti come falene dalla apparente luce sfavillante della civilta’ del consumo.
Un destino il loro che non sembra poi cosi dissimile da quello degli indiani d’America , due culture enormemente diverse e lontane nello spazio accomunate da un profondo rispetto per la natura e per l’ecosistema, e dalla distruzione fisica e culturale per mano degli stessi colonizzatori europei.
Un vagabondo suscita un certo tipo di emozione in quanto individuo, quando ad essere in queste condizioni è una intera razza le emozioni sono completamente diverse.
Rispettiamo il loro volere nel non essere fotografati o guardati negli occhi, così come abbiamo rispettato il loro luoghi sacri Uluru in testa.
Durante il rientro effettuiamo una breve sosta per osservare alcuni imponenti termitai.
Ultima sosta per un rilassante tramonto, bicchiere di vino bianco alla mano, osservato da una terrazza sospesa sulle verdi terre dei territori del nord.
Rientro in città e cena nuovamente in anticipo rispetto alle nostre italiche abitudini per consentire al letto di accoglierci e ritemprare le nostre stanche membra in vista della ennesima escursione che il nuovo giorno ci porterà.
La sequenza infinta di attività che hanno contrassegnato fino ad ora la vacanza, per quanto assolutamente emozionanti, inizia a minare anche il nostro abituato spirito, iniziamo a sognare in modo sempre più insistente i 5 giorni di riposo che ci attendono a fine viaggio.
15a tappa - 11 Maggio